Una buona strategia di comunicazione per il marchio dovrebbe almeno provare ad assolvere a sei “bisogni canonici”: sorprendere, aiutare, rassicurare, informare, impressionare, stupire.
In questa diffusa mania di dare nomi inglesi a vari elementi della comunicazione si parla sempre più di brand: individual brand, brand awareness e perfino brandizzare.
Leggendo Slow News però sono stata molto contenta di scoprire che una buona strategia di comunicazione per il marchio dovrebbe almeno provare ad assolvere a sei “bisogni canonici”: sorprendere, aiutare, rassicurare, informare, impressionare, stupire. En passant: che differenza ci sará tra sorprendere e stupire? Non ci aiuta granché il Treccani visto che definisce la sorpresa come un atto, un avvenimento fuori dall'ordinario, inaspettato; e lo stupore come reazione conseguente alla “sorpresa”… Mah.
Comunque vale sempre il principio che il tuo marchio è ciò che gli altri dicono del tuo marchio.
E qui torniamo a noi e al nostro lavoro: raccontare i valori, le storie, i prodotti e le soluzioni dei nostri clienti a giornalisti e blogger che poi possano a loro volta farsi testimoni delle nostre storie.
Oppure trovare linguaggi adatti a trasferire questa narrazione attraverso i nuovi Media: le piattaforme sociali.
Attraverso i contenuti scritti non solo proviamo a sorprendere, aiutare, rassicurare, informare, impressionare, stupire ma cerchiamo anche di intercettare le ricerche dei nostri potenziali utenti sui motori di ricerca. (E qui, a tale proposito, proviamo anche noi la strategia del ...gattino)
Analizzando le abitudini di ricerca di 4.000 volontari negli Stati Uniti Google ha peraltro documentato che questi “bisogni canonici” sono strettamente correlati con le ricerche sul web. Quello che è emerso da questa ricerca traccia infatti l’intero viaggio del navigatore prima di convertire una ricerca emozionale in acquisto.
E qui finiamo parafrasando Arthur Schopenhauer per dire che il processo di comunicazione funziona un po' come un dribbling fra la noia e il dolore per proporre intervalli fugaci e spesso illusori (ma questo noi comunicatori non siamo tenuti necessariamente a sottolinearlo) di piacere e gioia.